Non è un giovane emergente Giuliano Perin, vibrafonista ben noto agli appassionati veneti (è nato e risiede in provincia di Padova). E’ invece un jazzista originale e maturo, ben consapevole dei propri mezzi espressivi. Chi si appresti a conoscerlo solo ora ne apprezzerà ancor più il talento e la raffinata musicalità, come si fa davanti a una cosa nuova, che si ha il privilegio di scoprire per primi.
Perin inizia molto presto la sua attività jazzistica, dopo aver compiuto, come molti coetanei, studi classici. La temporanea uscita di scena sembra comprometterne le ambizioni – aveva completato nel frattempo gli studi universitari, avviandosi alla professione di medico – e invece gli anni ’90 lo vedono ritornare con ancor più determinazione fra la comunità dei jazzisti.
Emanno Maria Signorelli
Giuliano Perin
Franco Lion
Lele Barbieri
Lo strumento scelto, il vibrafono, se da un lato gli assicura pochi concorrenti nel nostro paese, da un altro lo costringe a confrontarsi con maestri del calibro di Milt Jackson, Bobby Hutcherson, Gary Burton, Terry Gibbs. Giuliano non solo non se ne spaventa, ma va a scoprire – e finisce per conoscere, diventandone allievo – un vibrafonista che in Italia è meno apprezzato di quanto meriterebbe, Dave Samuels.
In questo suo primo disco da leader – aveva partecipato a incisioni della Thelonious Monk e della Royal Big Band – non poteva mancare quindi un brano dell’amico e maestro: è stato scelto il latineggiante Arthur dance. Oltre a due personali versioni di I’ll keep loving you di Bud Powell e Conception di George Shearing, Perin presenta qui sette riuscite composizioni originali, tutte d’immediata presa e di meditata raffinatezza, alla cui resa contribuisce la scelta d’esser affiancato dalla chitarra classica anziché dal più convenzionale pianoforte.
Ermanno Maria Signorelli lo ripaga nel migliore dei modi, risultando partner davvero ideale per il suo vibrafono. Da incorniciare l’assolo della chitarra in Something for us, così come il riuscito lavoro di accordi nel bel pezzo iniziale, che dà il titolo all’album. Merita infine d’esser ricordato il prezioso intervento del trombonista americano Benny Lamonica nel finale Like Milt, sincero omaggio al padre di tutti i vibrafonisti moderni, Milt Jackson.
Rubiamo, per concludere, a uno dei “maestri” della critica italiana, Franco Fayenz, autore delle note di copertina del disco, una frase a nostro paese assai significativa: “…rare volte, anche a livello internazionale, ho apprezzato un fraseggio e un tocco di vibrafono come i suoi. Ad maiora.”