copertina CD some other spring

Some Other Spring

di Giuliano Perin

Cat Sound Records

Artisti

Giuliano Perin

Pianoforte, Vibrafono, Arrangiamento

Maurizio Scomparin

Tromba, Flicorno

Franco Lion

Contrabbasso

Daniele Scambia

Batteria

Bruno Lovadina

Voce narrante

Il cd “Some Other Spring”, uscito in pieno lockdown nel marzo del 2020, viene presentato ufficialmente questa primavera a distanza di due anni, per poi continuare la tournè estiva. In questo ultimo lavoro Giuliano Perin approfondisce il tema della primavera e della rinascita così caro a molti artisti, riarrangiando in modo originale alcuni brani della letteratura musicale jazzistica dedicati proprio alla primavera.

Accanto al gruppo l’attore e regista Bruno Lovadina che da anni collabora con Perin proponendo spettacoli di musica e teatro di caratura nazionale ed europea (i due artisti sono stati recentemente invitati all’Istituto Italiano di Cultura di Strasburgo per uno spettacolo su Ugo Pratt).

La voce narrante di Bruno Lovadina che si alternerà alla musica prevede un programma brani tratti dai Sillabari di Goffredo Parise, momenti di poesia tratti da Alda Merini, J.Prevert, W.Goethe, e un’originale rilettura della “Primavera di Botticelli”.

INTERVISTA A GIULIANO PERIN

a cura di Andrea Parente

Intervistiamo il vibrafonista Giuliano Perin, classe 1956, considerato uno dei più quotati vibrafonisti italiani e vanta collaborazioni con musicisti nazionali e statunitensi. I suoi ultimi CD hanno ottenuto il massimo punteggio sulle riviste specializzate (Jazzit, Jazz Magazine…). Si occupa inoltre di poesia e teatro affiancando poeti e attori con commenti musicali. È direttore artistico di manifestazioni culturali che spaziano dalla pittura, alla letteratura, al teatro e alla danza. È stato ospite in molte trasmissioni radiofoniche e televisive. Ha avuto recentemente un importante riconoscimento a livello europeo essendo stato invitato a rappresentare l’Italia in prestigiose manifestazioni organizzate dall’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Alle conoscenze musicali, l’artista unisce un grande carisma che coinvolge anche chi, per la prima volta, si avvicina al jazz.

Raccontaci in breve la tua storia. Come ti sei avvicinato al jazz?

Faccio parte dei musicisti della vecchia guardia che hanno iniziato a suonare jazz quando ancora non c’erano ne’scuole ne’ spartiti. Fortunatamente i miei genitori mi avevano fatto studiare il pianoforte dai sei anni, e successivamente all’insaputa della mia insegnante classica di piano mi sono avvicinato alla chitarra, al basso e alla batteria. A tredici anni ero già in giro a suonare. Tutto quello che allora imparavamo (al di fuori degli studi classici) era frutto dell’ ascolto dei dischi e di quello che potevamo rubare con gli occhi e con gli orecchi dai più grandi.

Come molti altri musicisti che ho conosciuto, avevo un fratello maggiore, ottimo pianista classico, che amava e suonava la musica del novecento: credo che questo mi abbia influenzato moltissimo.
Ricordo benissimo il giorno in cui proprio mio fratello portò a casa un disco di jazz. Ne rimasi folgorato, tanto che quando arrivò la mia insegnante di piano, glielo feci ascoltare dicendole che avrei voluto suonare quella musica. La sua risposta fu categorica: “Non se ne parla nemmeno”disse. Non volli più vederla. Allora le cose andavano spesso così, e molti ragazzi purtroppo lasciavano lo studio della musica per questa ottusità da parte degli insegnanti.Oggi i giovani sono molto più fortunati.Così continuai a studiare con mio fratello e con altri insegnanti. Iniziavano ad arrivare in Italia i primi spartiti e qualche libro di teoria.

La musica classica mi piaceva molto: Bartok, Stravinsky, Debussy e la musica contemporanea credo mi abbiano inizialmente avvicinato al jazz, accanto ovviamente al rock e al jazz rock che si suonava negli anni 70. Sicuramente ci sentivamo attratti da pianisti come Corea, Hancok e Jarrett che allora erano i giovani rampanti di riferimento.

Paradossalmente per molti della mia generazione la formazione è cominciata dall’ascolto dell’avanguardia (che allora imperversava) per poi tornare indietro all’ascolto e allo studio dei classici del jazz e del bebop.

Il vibrafono è arrivato molto più tardi, quando avevo già fatto molte esperienze professionali al pianoforte. In quel periodo avevo scambiato tutte le mie tastiere con un vibrafono e iniziavo a prendere lezione di rudimenti. Dopo sei mesi, per curiosità andai a un seminario di David Friedmann (organizzato da Saverio Tasca). David fu stupito da come suonavo dopo solo sei mesi e mi incoraggiò. Erano gli anni ‘90 e devo molto David Friedmann e a Dave Samuels (col quale ho tenuto concerti ed ho registrato un cd) che mi hanno veramente spinto a continuare nello studio di questo meraviglioso strumento.

“Some Other Springs” (Cat Sound Records, 2020) è il titolo del tuo ultimo album. Che significato ha? Come hai sviluppato il percorso narrativo del disco?

Questo cd è frutto di un periodo molto sofferto, purtroppo legato a un grave lutto, dal quale sto finalmente uscendo. Ho dedicato questa parte della vita allo studio approfondito di alcuni brani dedicati alla primavera e alla preparazione degli arrangiamenti suonando prima in piano trio e poi sovraregistrando vibrafono e marimba. In un paio di pezzi si è inoltre aggiunto Maurizio Scomparin alla tromba e flicorno.

Ho ripescato anche brani della tradizione jazzistica assai poco suonati e devo dire che questa ricerca è stata una costante nel mio percorso discografico. Lavorare su pezzi sconosciuti è sempre molto stimolante per me.

Come nascono le tue composizioni e in che modo ci lavori?

Devo dire che la maggioranza delle mie composizioni sono lavori giovanili, rielaborate negli anni. Sinceramente amo le melodie fresche e cantabili che a volte possono sembrare complesse, ma funzionano bene già cantandole sotto la doccia. Poi ci lavoro sopra scavando armonicamente e ritmicamente. Spesso suonando chiedo consigli ai musicisti che sono con me o semplicemente a chi ascolta. Non si finisce mai d’imparare.

Cosa ti ha motivato nello scegliere Maurizio Scomparin, Franco Lion e Daniele Scambia come collaboratori del disco?

Si tratta di musicisti assai affidabili con i quali collaboro da decenni; con loro l’interplay è una certezza così come la disponibilità allo studio e alla ricerca, cose per me fondamentali per la creatività.

Come sei riuscito a trovare un equilibrio tra più dimensioni espressive?

La mia vita musicale è stata molto ricca di esperienze. Ho avuto la fortuna e l’onore di suonare in molte formazioni dal solo alla big band con tantissimi bravi musicisti, ed ho spesso collaborato e interagito con scultori, orafi di rcerca, pittori, fotografi, poeti e attori e registi, Insomma cerco di abbracciare l’arte a tutto tondo Oggi sono convinto che tutto questo, pur essendo a volte molto faticoso, mi abbia premiato e ora forse sto raccogliendone i frutti. Mi considero sempre pronto a imparare. Ci vorrebbero tante altre vite.

Come sei riuscito a trovare un equilibrio tra più dimensioni espressive?

La mia vita musicale è stata molto ricca di esperienze. Ho avuto la fortuna e l’onore di suonare in molte formazioni dal solo alla big band con tantissimi bravi musicisti, ed ho spesso collaborato e interagito con scultori, orafi di rcerca, pittori, fotografi, poeti e attori e registi, Insomma cerco di abbracciare l’arte a tutto tondo Oggi sono convinto che tutto questo, pur essendo a volte molto faticoso, mi abbia premiato e ora forse sto raccogliendone i frutti. Mi considero sempre pronto a imparare. Ci vorrebbero tante altre vite.

Sul tuo profilo social hai dichiarato che hai arrangiato tutti i pezzi sulla primavera. Cosa è significato a livello timbrico, espressivo e di arrangiamento?

“Some Other Spring” è un cd molto introspettivo (il titolo è preso da una struggente ballad  intepretata magistralmente  da Billie Holliday). Ho curato dapprima gli arrangiamenti del piano trio attingendo come sempre dalla tradizione, cercando nel contempo di essere libero di esprimermi con i miei strumenti  e con il mio suono. Spero di esserci riuscito, e soprattutto spero che il suono del mio vibrafono rimanga inconfondibile.

Cosa lo distingue dai tuoi precedenti lavori?

Come dicevo prima, si tratta di un lavoro che rappresenta una svolta della mia vita, sicuramente c’è una maggiore maturità (anche anagrafica) legata al superamento di certe angosce che forse un po’ tutti noi abbiamo. Non devo più dimostrare nulla a nessuno e mi dedico in maniera più serena all’espressività che ho sempre perseguito. Tecnicamente avevo già affrontato la sovraregistrazione del vibrafono e marimba sopra il piano trio (con me stesso al piano) in un altro cd intitolato “Menage au Trois” (Caligola 2013).

Può essere molto interessante suonare accompagnato da te stesso, perché sai dove sta andando chi ti accompagna. Ma può anche capitare che non ti piaccia affatto il modo in cui tu stesso ti accompagni!

Come suona questo disco dal vivo?

Gli spettacoli di presentazione dal vivo di questo cd mi hanno dato veramente tanta soddisfazione
Ovviamente non potendo suonare contemporaneamente piano e vibrafono, ho dovuto rivedere gli arrangiamenti, aggiungendo molte parti solistiche per tromba e flicorno. Oltre all’impeccabile sezione ritmica dal vivo c’è sempre l’instancabile e talentuoso trobettista Maurizio Scomparin, un fratello di musica e di vita, con cui ho condiviso e condivido centinaia di concerti.

E’ stata molto interessante anche la collaborazione con l’attore e regista Bruno Lovadina. Con questo artista abbiamo creato e portato in scena uno spettacolo di musica, prosa e poesia dedicato proprio alla primavera e alla rinascita. È stato un vero successo nella stagione estiva che dovremo replicare presto.

Che emozione ti ha dato il ritorno ai concerti, al pubblico, alla musica?

Era ora di tornare a suonare dal vivo. La presentazione di “Some Other Spring “era programmata per la primavera del 2020 e nessuno di noi immaginava quel che sarebbe accaduto.
Il ritorno ai concerti dal vivo è stato molto sofferto e graduale: spesso il pubblico e noi stessi artisti sul palco eravamo un po’ a disagio, tutti sempre molto attenti a quanto accadeva intorno e sempre ligi alle regole. A mio parere questo atteggiamento alla fine ci ha premiati permettendoci il ritorno a pieno regime con il nostro pubblico. Qualcosa purtroppo è cambiato, ma speriamo di tornare a lavorare sereni.

Da anni collabori con illustri artisti, sia nazionali che statunitensi. Quali insegnamenti ti hanno trasmesso queste straordinarie esperienze?

Ho sempre cercato di attingere a piene mani da tutti gli artisti che ho incontrato. Ovviamente ci sono personalità straordinarie che ti lasciano un segno indelebile. Personaggi come Barry Harris, Paul Jeffrey, Claudio Roditi, Gianni Basso, Luciano Milanese, Dave Samuels solo per citarne alcuni, sono stati per me molto importanti. È incredibile come in tutti questi grandi artisti ho trovato sempre due doti fondamentali: un forte rigore accanto a una grande flessibilità. Molti jazzisti e in genere molti artisti hanno queste doti, quasi una sorta di caratteristica forse innata o forse semplicemente acquisita nel corso degli anni.

Sei stato invitato a rappresentare l’Italia in prestigiose manifestazioni internazionali. Che emozione ti provoca tale riconoscimento?

Devo dire che la prima volta che sono stato invitato quasi non ci credevo. Sorrido ancora se penso alla telefonata di un funzionario del ministero degli esteri per propormi un concerto a Londra.In un primo momento ho pensato a uno scherzo di qualche amico buontempone.

Le esperienze all’estero ti formano moltissimo e soprattutto ti avvicinano ad altre realtà veramente importanti che spesso molti artisti sottovalutano.

La pandemia ha drammaticamente fermato il settore artistico. Come hai reagito a tale situazione?
Il lockdown in una prima fase mi ha creato una forte angoscia. Noi jazzisti siamo sempre per strada e se non giriamo ci sentiamo morti e depressi.

Poi ho capito che dovevo approfittare di questo periodo per studiare e suonare di più. Ho registrato molti video a casa, anche con una certa autoironia. Devo dire che personalmente questo periodo di riflessione mi è servito. Ho rivisto molte cose che avevo abbandonato per mancanza di tempo ed ho riscoperto momenti di studio profondo che non mi concedevo più per i ritmi frenetici ai quali eravamo abituati.

Quali sono le sfide che hai dovuto affrontare e che affronti tutt’ora?

La più grande sfida che ho dovuto affrontare all’inizio della mia carriera è stata sicuramente quella di portare avanti due professioni (medico e musicista) con tanta passione e dedizione.
La mia vita è stata sempre dedicata alla musica e alla medicina. Allora mi sono trovato a confrontarmi con colleghi musicisti che purtroppo tendevano a sottovalutare la mia professionalità musicale solo perché facevo anche un’altra professione. Ora non più perché i fatti parlano da soli e la mia carriera musicale è consolidata da migliaia di concerti in Italia e all’estero e da decine di cd a mio nome e molti altri come ospite.

Un’altra sfida che cerco oggi di affrontare è quella di diffondere la buona musica e di tenere unita la comunità dei jazzisti anche nelle nostre città di provincia, dove spesso è veramente impossibile superare certe piccole meschine rivalità. Se vai a New York vedi che questo meccanismo è stato ampiamente superato: tutti i musicisti hanno ben capito che, se non sono uniti e non si sostengono l’un l’altro anche frequentando essi stessi i vari jazz club, la piccola e spesso ghettizzata comunità jazzistica purtroppo è destinata a soccombere.

Che progetti hai per il futuro?

Innanzi tutto mi auguro di poter tornare a girare ancora tanto per portare la mia musica in Italia e all’estero; auguro altrettanto a tutti i musicisti nel mondo perché la vera musica si fa dal vivo.
Sicuramente sono molto belli i video che oggi possiamo vedere comodamente seduti da casa (io stesso ho un bel video di presentazione di “Some Other Spring” visibile su You tube), ma resto dell’opinione che il jazz va assaporato nei piccoli clubs, accanto ai musicisti coi quali magari possiamo anche scambiare due parole a fine concerto.

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